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Fake news Social Network

L’altra pandemia pt.1: come le fake news fregano il nostro cervello

Dopo l’articolo su come parlare di alcoolismo ai vostri figli, anche stavolta eviterò giri di parole inutili. Le fake news“articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici con il deliberato intento di disinformare”sono pericolose. E in questi tempi ancora di più: negli ultimi mesi infatti i social hanno traboccato di notizie di dubbia qualità. Alcuni esempi? “Il virus non esiste”, “il vaccino c’è, ma non cielo dicono!”, “ecco perché usare le mascherine fa venire il cancro”. Robaccia del genere insomma.

Una vera e propria pandemia di fake news sul Covid-19 parallela a quella causata dal virus vero e proprio; di dimensioni così preoccupanti da aver spinto il COPASIR a redigere una relazione apposita.

Dal “semplice” generare odio, al causare ansia e stress, o persino destabilizzare uno stato, le fake news possono danneggiarci in molti modi.

Ma quali sono i principali meccanismi cognitivi che le fake news sfruttano fregare il nostro cervello?

Razionalità limitata

Il cervello è una macchina dannatamente efficiente, risparmia energia dove e come può. Tuttavia in nome di questa efficienza, riesce a dedicare solo un tempo limitato per processare una quantità altrettanto ridotta di informazioni per volta. Le fake news sono scritte in modo da essere facilmente “digeribili” e, complice anche i bot, si moltiplicano a dismisura. Questo finisce col sovraccaricare rapidamente i processi analitici e decisionali a carico di aree cerebrali come la corteccia prefrontale dorsolaterale. Messo così alle strette, il cervello sceglie il percorso a minore resistenza, finendo così col credere a queste notizie. Mica fesse, ste feccnius.

Bias di negatività (negativity bias)

Ma perché finiamo proprio col credere alle fake news? Perché sono costruite ad arte per suscitare forti emozioni come paura, disgusto e rabbia, fondamentali per la sopravvivenza. Ci permettono infatti di riconoscere potenziali pericoli, preparandoci ad affrontarli o evitarli. Queste emozioni, mediate da aree “arcaiche” del nostro cervello quali amigdala, ipotalamo, insula, sono generalmente avvertite come spiacevoli o “negative”. Proprio in virtù di questa negatività, tali notizie catturano la nostra attenzione e tendono a influenzarci maggiormente rispetto a notizie che evocano emozioni positive. A volte basta solo un titolo efficace per sconvolgerci e spingerci a condividere la notizia. L’equivalente di essere infetti e tossire in faccia a un’altra persona.

Bias di conferma

Una volta insinuatesi, le fake news diventano difficili da “disinstallare”. Notizie simili a quelle a cui abbiamo già abboccato tenderanno anzi ad avvalorare quello che già credevamo in partenza, e posizioni contrarie verranno sistematicamente rigettate. Nei social questo fenomeno è ancora più visibile, perché gli algoritmi filtreranno automaticamente contenuti dissimili da quelli che avevamo aperto e cercato in precedenza. È così che si vengono a creare i cosiddetti silos sociali. I silos sociali sono spazi digitali in cui persone simili finiscono col condividere lo stesso tipo di informazioni, senza mai metterle in discussione. Non proprio un terreno fertile per lo sviluppo di un pensiero critico e analitico ‘nsomma.

Non sembrerà, ma già essere consapevole di questi tre “vulnerabilità di sistema” in cui le fake news sguazzano, è un primo, necessario passo per combatterle. Come scriveva sir Francis Bacon: “Scientia potentia est”, “La conoscenza è potere”*.
Tuttavia, la conoscenza da sola è potente sì, ma non basta: c’è bisogno di mettere in atto qualche strategia ben collaudata. Ed è proprio di strategie di cui parleremo la settimana prossima, con la seconda parte di questo speciale sulle fake news.

A mercoledì!

*In realtà, non è sicuro che tale espressione sia davvero di Bacon. Una fake news d’altri tempi allora?

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